Viviamo in un’epoca assurda, quasi schizofrenica, in cui da un lato milioni di persone cercano lavoro e dall’altro migliaia di aziende si lamentano di non trovare “persone valide”. Ma cosa significa davvero valido oggi nel mercato del lavoro?
Questa è una domanda cruciale, perché dietro questa parola si nasconde uno dei problemi più gravi e sottovalutati della nostra società.
Il grande malinteso: “non c’è lavoro” vs “non c’è gente valida”
Chi è in cerca di occupazione lo ripete come un mantra: “Il lavoro non si trova, e se lo trovi è mal pagato”. Le aziende, d’altro canto, dichiarano l’esatto opposto: “Non troviamo candidati all’altezza”. Questo cortocircuito comunicativo si ripete da anni, come una guerra fredda tra due mondi che non si comprendono più.
Secondo una recente indagine del Centro Studi Confartigianato, il 47,2% delle imprese italiane fatica a trovare personale qualificato. Nello stesso tempo, ISTAT ci dice che il tasso di disoccupazione giovanile in Italia sfiora il 22%. Come può essere?
Il problema è duplice: mancano da un lato le competenze tecniche specifiche in alcuni settori, ma ancora di più mancano le competenze trasversali, quelle che non si insegnano a scuola ma che determinano il successo personale e professionale.
Competenze trasversali: la moneta più rara del XXI secolo
Parlare oggi di soft skills (comunicazione, pensiero critico, adattabilità, problem solving, capacità relazionali…) è come parlare una lingua sconosciuta per il 90% dei candidati. E non parliamo solo di chi ha titoli di studio bassi. Anche i laureati, spesso, cadono nella trappola del tecnicismo sterile.
“La conoscenza tecnica è facilmente accessibile, la differenza oggi la fa chi sa relazionarsi, comunicare, negoziare, risolvere problemi e lavorare in gruppo”, afferma Klaus Schwab, fondatore del World Economic Forum.
Eppure nei curriculum leggiamo sempre le stesse frasi: “disponibile, serio, affidabile, lavoro bene in team”. Una fotocopia dell’altra. Nessuna identità. Nessun posizionamento.
L’identità professionale è il vero problema
Quando chiediamo a un disoccupato: “Chi vuoi essere tra cinque anni?”, spesso otteniamo silenzio o frasi vaghe: “Boh… mi basta lavorare”. Non è colpa loro. È la società che non insegna più a sognare, progettare, creare un’identità. I problemi quotidiani schiacciano ogni ambizione.
La precarietà economica, l’incertezza politica, il bombardamento tecnologico e l’accelerazione dell’Intelligenza Artificiale hanno creato una generazione in apnea.
“Viviamo in tempi in cui la gente sa il prezzo di tutto e il valore di niente”, diceva Oscar Wilde. Ed è esattamente ciò che accade nel mondo del lavoro: tutti cercano un “posto”, nessuno cerca un “senso”.
L’errore più grave: non investire su se stessi
Chi è in difficoltà economica fa fatica a pensare che valga la pena investire su sé stesso. Spendere 200 euro per un corso sulle competenze trasversali sembra una follia. Ma 800 euro per l’ennesimo patentino tecnico, magari inutile, sembrano più “giustificabili”.
È un meccanismo di sopravvivenza. Lo capiamo. Ma è anche un meccanismo che porta dritto all’oblio professionale. Perché oggi non basta saper fare, bisogna saper essere. E il problema è che nessuno lo insegna davvero.
La concorrenza tra candidati esiste eccome.
Nel mondo aziendale si fa branding, posizionamento, marketing strategico. Ma nel mondo del lavoro nessuno lo fa per sé. Nessuno costruisce il proprio “marchio personale”.
Eppure oggi, anche se vuoi fare l’idraulico o il magazziniere, sei in competizione. Non con uno, ma con decine di altri come te. Se non ti differenzi, sei invisibile.
“Se non sei differente, sei irrilevante”, dice Seth Godin, guru del marketing. E questo vale anche nel mondo del lavoro.
La famiglia, la scuola, la società: tutti assenti
La verità è che chi cerca lavoro spesso è solo. La famiglia non capisce, la scuola non prepara, la società giudica. Le persone si sentono colpevoli per non essere riuscite, quando in realtà sono state abbandonate.
Il sistema educativo italiano dedica pochissimo spazio all’orientamento professionale, e quasi nessuno alla formazione personale. Si studia per prendere voti, non per comprendere sé stessi. Si lavora per pagare le bollette, non per realizzare una missione.
Il ruolo della tecnologia e dell’IA: panico o opportunità?
Molti hanno paura dell’Intelligenza Artificiale. Temono che rubi il lavoro. Ma l’IA non ruba nulla. Sostituisce solo ciò che è facilmente replicabile. Se il tuo lavoro si basa su compiti meccanici e prevedibili, sì, potresti essere sostituito.
Ma se sai pensare, collaborare, adattarti, creare relazioni, risolvere problemi, allora sei insostituibile.
“L’intelligenza artificiale non sostituirà gli esseri umani. Ma gli esseri umani che usano l’IA sostituiranno quelli che non lo fanno”, dice Garri Kasparov, ex campione mondiale di scacchi.
Dove stiamo andando? Le statistiche parlano chiaro
Secondo il Rapporto Censis 2024, il 74% degli italiani ha una percezione negativa del futuro lavorativo.
Il 45% dei giovani italiani tra i 18 e i 34 anni ha pensato di emigrare all’estero.
Solo il 18% delle scuole superiori italiane ha un piano di orientamento serio e strutturato.
Più del 62% delle aziende vorrebbe assumere, ma afferma di non trovare persone adatte.
Solo il 12% dei lavoratori disoccupati ha seguito un corso di formazione sulle soft skills negli ultimi due anni.
Numeri che fanno riflettere. Numeri che dicono che stiamo sbagliando qualcosa di profondo.
Serve un cambio culturale radicale
Non possiamo continuare così. Non possiamo credere che basti inviare curriculum su Indeed o rifare il profilo LinkedIn. Serve un cambio di paradigma:
- Formazione trasversale diffusa e accessibile
- Educazione all’identità professionale
- Percorsi di autoconoscenza e posizionamento
- Supporto reale da parte delle istituzioni
- Una nuova cultura del lavoro basata su senso, impatto e visione
Il messaggio che voglio lasciare
Se stai cercando lavoro e ti senti frustrato, non sei sbagliato. Sei solo disorientato. E hai bisogno di strumenti nuovi.
Se sei un’azienda che non trova candidati “validi”, forse devi iniziare a guardare oltre il curriculum. Cercare potenziale, non solo esperienza.
Se sei un educatore, un coach, un formatore, sappi che oggi hai un compito sacro: aiutare le persone a vedersi, a riconoscersi, a scegliere una direzione.
Perché, come diceva Viktor Frankl, psichiatra sopravvissuto all’Olocausto:
“Quando un uomo sa perché vive, può sopportare qualsiasi come”.
E tu? Ti sei mai sentito così?
Ti riconosci in questo articolo?
Hai mai pensato che bastasse “fare un bel curriculum”?
Sei un’azienda e fatichi a trovare personale valido?
Scrivimi. Raccontami la tua esperienza. Commenta. Condividi. Solo creando dialogo possiamo trovare soluzioni reali.
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Insieme possiamo cambiare questo sistema, una persona alla volta.
Piergiorgio Carlini
Orientatore professionale, esperto in ricerca lavoro, formazione, motivazione e crescita personale.